Alfabeto di moda: G di Greenwashing

Per il mio alfabeto di moda, siamo alla lettera G, la G di Greenwashing. Il termine, formato da green, verde, e washing, lavaggio, è stato coniato negli anni ’80. E’ solo oggigiorno però, grazie alla maggior sensibilità dei consumatori alle tematiche ecologiche, che di greenwashing si inizia a parlare di più. Cos’è esattamente?

Il greenwashing è una strategia ingannevole, uno stratagemma usato da alcune aziende per apparire più ecologiche di quanto non siano. Queste aziende presentano attività e prodotti come ecosostenibili, per nascondere il loro impatto ambientale negativo. È meno costoso dire di impegnarsi per la sostenibilità piuttosto che attuare reali misure che rispettino l’ambiente. Il fenomeno del greenwashing si osserva in molti settori produttivi, ma è spesso associato alla moda.

Alcuni brand creano grandi campagne di marketing per pubblicizzare il loro supporto a cause ambientaliste, cercando così di legare la propria immagine all’ecologia. Più spesso, però, il greenwashing è meno plateale, e si attua nella vendita al dettaglio. Alcuni esempi:

  • Usare impropriamente termini che fanno leva sui sentimenti ambientalisti. Chiamare un giubbino in similpelle “cruelty free”, evidenziando che non deriva dagli animali, distoglie l’attenzione dal danno ambientale apportato da un capo sintetico che non si decompone.
  • Definire un capo sostenibile anche se contiene solo una piccola parte di materiali ecofriendly. Una camicia “con cotone biologico” non è totalmente ecofriendly se la composizione è 50% cotone e 50% poliestere, poiché il blend polycotton non è biodegradabile.
  • Utilizzare imballaggi ecologici per prodotti non ecologici. Attenzione alle scritte verdi che possono risultare fuorvianti!
  • Creare una piccola capsule collection eco-green mentre la maggior parte della produzione rimane invariata. E’ un modo per ripulire l’immagine del brand senza sostanziali cambiamenti.

Noi consumatori possiamo influenzare i comportamenti delle aziende. Alcune idee:

  • Preferire brand che attuano pratiche sostenibili e sono in grado di fornire dettagli sul loro impegno (indice di credibilità).
  • Leggere le etichette della composizione e preferire i tessuti sostenibili.
  • Preferire capi potenzialmente duraturi, per stile e qualità, cosi da rallentare il flusso “vorace” della moda.

Per non fomentare il greenwashing, un’altra idea infallibile è: ridurre gli acquisti!

  • Sfruttare i vestiti già posseduti e prolungarne la vita, ad esempio creando nuovi outfit con vecchi capi.
  • Scambiare vestiti con amiche e familiari, per ridurre rifiuti e risorse utilizzate.

Nell’immagine, un outfit primaverile che non teme il greenwashing, composto da capi classici (trench, jeans e stivaletti basic), impreziosito da una camicia con pizzo presa dall’armadio della nonna.


The photo I used for my collage is free by Nataliya Vaitkevich on Pexels.com

18 pensieri riguardo “Alfabeto di moda: G di Greenwashing

  1. Ciao Lucia, condivido i tuoi suggerimenti e credo che il consumatore oltre ad acquistare abbigliamento realizzato in fibre naturali, la c8sa ancora più sensata sarebbe quella appunto di cercare di acquistare meno a ogni cambio di stagione perché anche la produzione purtroppo, non è meno inquinante dello smaltimento dei materiali. Buon inizio settimana 🌹

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    1. Tocchi un punto importante, l’impatto della produzione! Purtroppo anche usando i materiali più sostenibili, naturali, riciclati, biodegradabili, ecc. … un certo impatto c’è. A livello d’inquinamento e anche sociale, se pensiamo poi alle condizioni di lavoro di chi produce capi molto a basso costo.
      Buon inizio settimana anche a te! 🙂

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  2. verissimo tutto quello che dici…👏👏…

    avercela però la possibilità di scambiare con le amiche i vestiti😄..taglia e stile non coincidono mai almeno con le mie di amiche💁‍♀️…però con la twin qualcosa ancora adesso riusciamo a scambiarci (lei magrissima rispetto a me) ..mia cognata qualche capo spalla me lo ha regalato perché a lei non stava più bene perché ha preso qualche chilo ma il più delle volte si tratta di capi demode visti gli anni che son trascorsi e cosi non lo sfrutto quasi mai…

    Buon lunedi

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    1. Sarebbe bello fare lo swap periodico come si vede in certe serie tv! Io mi trovo più nella tua situazione, cioè taglia e stile non coincidono con le mie amiche. Però mia mamma mi passa ogni tanto qualcosa che a lei non entra più. Dolcevita, cose del genere che comunque sono basiche e riesco ad usare. Tra bambini lo swap è in teoria un po’ più facile, specialmente finché sono molto piccoli. Ricordo tra cuginetti quanti vestiti scambiati, quando ero piccola… Tramandati dai maggiori ai minori… Però anche lì non è sempre possibile: dipende dalla stagione in cui si arriva ad una certa età-taglia, dal ritmo di crescita, e altro. Ad esempio proprio in questi giorni stavo pensando di regalare qualche body di mio figlio a mia cugina che partorirà a maggio una bambina. Ma le darò solo quelli bianchi, perché ammetto che – dopo una prima figlia femmina – mi sto togliendo lo sfizio di comperare per il figlio molte cose azzurre (sono all’antica, lo so). E le cose di mia figlia di taglie piccoline ormai le avevo tolte tutte da tempo.
      Penso che comunque cambiare mentalità e approccio nei confronti del “passarsi le cose” sia già un passo avanti, verso la sostenibilità, la fuoriuscita da un sistema basato sul consumismo e il ritorno al buonsenso che avevano mamme e nonne.

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      1. Condivido pienamente 👍👍👍..noi pure con i bimbi con mia sorella continuamo a scambiarsi cosine e Anastasia (avendo anche mio nipote madchio e nessun altra femmina) a casa più di una volta veste azzurro , il rosa sempre però a scuola e via …

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  3. Se penso a come sono cambiate le mie abitudini di shopping mi viene da sorridere. Per moltissimo tempo mi piaceva qualcosa e costava poso? La compravo. Ora invece compro all’occorrenza, cerco di evitare il fast fashion ma capita ogni tanto, solo che i vestiti durano moltissimo e ad esempio da H&M c’è la linea conscious che è ottima, ha magliette di ottima fattura. Una volta passando davanti ad una vetrina di una boutique del centro mi ha colpito un abito, c’era scritto qualcosa sul tessuto e che era riciclato, il prezzo decisamente alto €750 che era quasi tutto il mio stipendio al tempo. Ovviamente l’abito per me è rimasto in vetrina, qualcuno con più disponibilità economica se lo sarà comprato. Lo shopping consolatorio ci sta ogni tanto, siamo umani, ma prima conviene dare un’occhiata dentro l’armadio, sicuro che c’è già ciò che ci serve/vogliamo!!!

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    1. Credo che proprio la linea Conscious di H&M possa essere un sospetto caso di Greenwashing!
      Lessi qualcosa in proposito. E’ la casistica del “creare una piccola capsule collection sostenibile (almeno in teoria) lasciando invariata la maggioranza della produzione”.
      Comunque sia chiaro che questo è UN punto di vista della sostenibilità. Se guardiamo da UN ALTRO punto di vista, qualunque indumento diventa più sostenibile, al di là di come è stato prodotto, se viene usato a lungo. Prolungare la vita di un capo, indossandolo come dici tu per anni, lo rende meglio ammortizzato, sia per il nostro portafoglio che per l’ambiente. Invece se si usa un indumento solo una volta o due, questo, biodegradabile o no, diventa presto un rifiuto!
      I punti di vista sono molteplici.
      Resta il fatto secondo me che le aziende che fanno greenwashing vadano smascherate, perché si tratta di pubblicità ingannevole.

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      1. Diciamo che le linee fast fashion nascono proprio con l’idea di prezzo basso comprano di più, di questa linea ho avuto un paio di magliette a righe bellissime, morbidissime e comodissime, le ho pagate poco ma le ho fatte durare anni. Come non trovo giusto spendere centinaia di euro per pantaloni firmati, qualche anno fa ho comprato un jeans per 160 euro da Fiorella Rubino e speravo mi durasse molto, invece dopo 6 mesi mi si è rotto come quelli low cost, allora ho preferito spendere meno. Ora come prima cosa vedo nell’armadio se già ho quello che voglio e se ho bisogno di abiti articolari cerco su Vinted poiché il mercatino dell’usato da me ha pochissima scelta riguardo la moda. Poi c’è sempre la possibilità di fare modifiche, chi ha talento nel cucire fa da se, se una pippa come va in sartoria 😛

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        1. Purtroppo è successo anche a me di rimanere delusa da un articolo “firmato”. In teoria il prezzo dovrebbe corrispondere alla qualità, ma non sempre è così. Dispiace quando si acquista qualcosa a caro prezzo e poi scopri che è fatto male.
          A proposito di articoli griffati, io non mi faccio problemi a spendere un po’ di più se sono davvero CONVINTA che ne valga la pena, ma a tutto c’è un limite che per me si chiama buonsenso. Una volta lasciai in un negozio un giubbino in denim che costava 500,00 Euro, davvero una cifra astronomica: neppure un giubbino in vera pelle oggi costa così tanto, e qui parliamo di oltre 10 anni fa! Mi dispiacque sinceramente, perché era davvero bello e mi stava alla perfezione. Ne trovai uno simile, ma non uguale ahimé, dalla Benetton. Dopo più di 10 anni ce l’ho ancora! Mi ci sono affezionata e non rimpiango più quello che all’epoca mi sembrava bellissimo. E il giubbino Benetton non sarà stato ecogreen all’origine, ma è perfettamente ammortizzato, anche perché è di un taglio classico e un colore chiaro che d’estate va sempre bene, e fa parte di quei capi che sicuramente indosserò ancora a lungo.

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  4. Quando ho letto il titolo dell’articolo, pensavo avresti parlato di prodotti per lavare i vestiti ecosostenibili… E invece a sorpresa mi hai aperto un mondo! Io compro davvero poco, perché amo i vestiti che possiedo e non sono particolarmente attratta dal nuovo. Però non presto mai abbastanza attenzione alle etichette, se non per prediligere capi 100% cotone, che mi fanno sudare meno e durano più a lungo. Li porto anche spesso da mia nonna per rammendarli, così da farlo durare di più. Non l’ho mai fatto in un’ottica green, ma solo perché non me ne voglio separare. 🥰

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    1. Eheh, e io non avevo pensato al discorso dei lavaggi ecologici 😀 Comunque rammendare i capi che si possiedono, insieme a lavaggi adeguati e il più possibile delicati, rientra a pieno titolo negli stratagemmi per far durare i capi che già si possiedono. Una volta era questione di buonsenso, oggi alcuni come te lo fanno per affezione, è proprio vero che a volte facciamo scelte green senza inseguire manifesti!

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      1. Non so come farò quando mia nonna morirà (e non solo in materia di rammendi…). Nella mia famiglia, lei è l’ultimo frutto di un altro modo di vivere, quando si faceva l’impossibile per far durare le cose. ♥ Sa persino rammendare i calzini di lana senza far venire il “castrone”. ♥

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        1. Non so da te, ma esistono delle sartorie. Qui vicino da ormai qualche anno ha aperto una piccola sartoria che non realizza abiti ex novo, ma si occupa proprio di riparazioni e modifiche di indumenti vari, a caro prezzo ma lavorano bene. C’era anche, fino a poco tempo fa, una magliaia che si occupava dei capi in lana, ma lei operava in casa da artigiana, senza negozio fisico vero e proprio. Ora ho visto la pubblicità di una nuova sartoria cinese… Fa dei prezzi stracciati in confronto all’altra, sulla qualità non so cosa aspettarmi. Chissà come andrà a finire?

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          1. Da noi, di sartorie indipendenti se ne trovano sempre meno, di solito sono i lavasecco che hanno anche questo servizio, però costano tanto, e volte conviene buttare e comprare nuovo. 😔 Mi sarebbe piaciuto imparare, ma mai avuto né il tempo né soprattutto la pazienza… 😅

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